lunedì 6 giugno 2016

Femminicidio, le parole sono importanti: non è mai un “raptus”, non è mai un “bravo ragazzo”




Avevo scritto questo post qualche mese fa, ma mi rendo conto che si potrebbe ripubblicare pari pari in ogni occasione, tanto il copione è al 90% identico. Come nel caso di Elisa, ammazzata a Parma il 10 settembre.
È difficile descrivere l’orrore di fronte all’episodio di Sara, bruciata sul ciglio di una strada, per la sola colpa di volere disporre della propria vita. Non posso fare a meno di pensare, più che all’epilogo tragico, alla discesa sempre più ripida che, da una relazione inizialmente normale, porta queste donne nell’inferno che le inghiotte. La gelosia ossessiva, le violenze verbali e fisiche, la persecuzione delle telefonate e dei pedinamenti. Mi fa impressione leggere che solo il 12% di queste situazioni viene denunciato. Una su otto. Per un caso che viene alla luce, ci sono altre sette donne che combattono tra le macerie della propria vita senza nessun aiuto. Se non si arriva alle conseguenze estreme, di questi casi, che spesso durano anni, nessuno verrà mai a sapere nulla.

Eppure, in quasi tutte le storie, compresa quella di Sara, la violenza estrema dello stalking, dello sfregio con l’acido o dell’omicidio non è un fulmine a ciel sereno. Andando a ritroso, si scopre con sconcertante regolarità che c’erano stati episodi allarmanti, magari dopo alcune settimane o mesi di relazione “normale”. La frase maschilista, la gelosia che impedisce anche di frequentare le amiche, il telefonino spiato, il primo insulto, il primo schiaffo, gli sms persecutori, le minacce. Se è ovvio pensare che nessuno dovrebbe nemmeno immaginare di potersi permettere comportamenti del genere, mi stupisce molto che queste violenze vengano spesso sottovalutate dalle stesse vittime e dal loro contesto famigliare e sociale. Perché molte famiglie scatenano una guerra se la figlia frequenta un ragazzo tatuato, o di origini ritenute inadeguate, ma spesso non ci si preoccupa se il fidanzato telefona a tarda notte per controllare se è in casa? E anche dopo, perchè non manca mai chi ci informa che “era un così bravo ragazzo”? 

Perché tante ragazze, ma anche donne ormai adulte, sono spesso lusingate dalla gelosia del partner, scambiando un sentimento sterile e violento per un segno di attenzione e desiderio? Perché certe frasi e immagini, postate sui social o spedite in una chat, non vengono considerate da istituzioni e famiglie per quello che sono, cioè dei veri e propri atti di violenza, equivalenti se non peggiori di un pugno?


Veniamo da secoli in cui la sopraffazione del maschio sulla femmina veniva data per scontata. Fino a pochi decenni fa, barbarie come il delitto d’onore, il matrimonio riparatore, il marito “capo” della famiglia, erano perfino scritte nella legge, oltre a far parte di tradizioni e consuetudini tramandate attraverso le generazioni. Cambiare le leggi è relativamente facile, cambiare una cultura così radicata richiederà decenni. Da dove cominciare?