Undici milioni di euro sotto sequestro, sospetto di bilanci taroccati e di truffe con soldi pubblici. Mica robetta, anche in una città che da una quindicina d’anni esporta nel mondo fallimenti e bancarotte da prima pagina, la vera eccellenza parmigiana del XXI secolo, ètor che fudvallei.
Eppure, da tante bacheche solitamente fumanti di indignazione e di idee per un futuro migliore, non una parola. Dalla Parma che ci sta a quella che non ha paura, nulla da dire, non un fiato, non una riga. In effetti, va riconosciuta una certa linearità: non avevano fatto una piega in occasione dei tanti crack parmigiani degli ultimi anni, è coerente che anche stavolta voltino la testa dall’altra parte.
E che dire dei tanti pramzanètt da tastiera, sempre prodighi di invettive e indignazione per un autobus in ritardo o un sacco del rudo incustodito, pronti a firmare petizioni e a scendere in piazza contro un campetto sportivo o per riavere i cari vecchi cassonetti? Anche qui, silenzio di tomba.
Eppure a me sembra evidente che il vero pericolo per la sicurezza e per il futuro, di cui tanti si riempiono la bocca, viene soprattutto da queste continue scorribande di colletti bianchi, che in pochi anni hanno depredato i conti pubblici e il tessuto produttivo, minato la tenuta delle Istituzioni, allentato i legami di comunità. Nessuno vuole sminuire il peso dei fenomeni di microcriminalità diffusa, né l’importanza di dare risposte a noi cittadini quando ne siamo colpiti. Non possiamo però fingere di non vedere che, se il corpo della città è continuamente spolpato da attacchi di parassiti in camicia e cravatta, farà più fatica a curare i sintomi del disagio, della disuguaglianza, dell’emarginazione.
Oppure sì, possiamo continuare a fingere di non vedere, e credere a chi ci racconta che a minacciare il futuro dei nostri figli sono la raccolta differenziata e i pallet in Piazzale della Pace.