mercoledì 14 dicembre 2016

Alberi di Natale che raccontano storie

Si potrebbe partire dagli alberi di natale per raccontare una storia. Una storia iniziata nel 2012 con l'ormai dimenticato albero a pedali, e terminata nel 2016 con orrendi coni tempestati di lampadine e ornati da uno scudo crociato. È stato l'assessore Casa, vantandosi di avere incenerito 125mila euro per luminarie di chiaro stampo ubaldi-vignalesco, a spiegare che l'albero "ecologico" era stato un ripiego un po' sfigato, imposto dallo stato di dissesto delle casse comunali. LEGGI
Rimessi sotto controllo i conti, ecco che si può tornare serenamente al gioioso spreco di elettricità e ai cadaveri di abeti trentennali segati per arredare una piazza per venti giorni.
Peccato che qualche ingenuo avesse letto nell'albero con le cyclette un primo segnale tangibile del tanto sbandierato cambiamento di paradigma nell'amministrazione cittadina, nel quale allora qualcuno credeva. Invece si era trattato solo di una parentesi da straccioni, in attesa di tornare ad illuminare a giorno le vie dello shopping come consumismo  comanda.

lunedì 24 ottobre 2016

Un ponte, i Senza Vergogna e i Senza Memoria

Un ponte gigantesco, costato decine di milioni, con spazi coperti inutilizzabili in quanto contrari alla legge, che collega stradine di quartiere, percorso da poche auto al giorno.
Ieri sera, una folta rappresentanza di carnefici è tornata a banchettare sul luogo del delitto, prendendo a pretesto il povero Giuseppe Verdi che, non a caso, Parma la frequentava meno possibile, preferendole Milano e il suo buen retiro nel piacentino.

C'erano tutti:

Sorrideva al fotografo il progettista, all'epoca anche vicesindaco e senatore, praticamente la statua equestre del conflitto d'interessi.
C'era l'ex direttore del giornale locale, che ha sostenuto ventre a terra quella stagione amministrativa disastosa e fallimentare.
Era ben rappresentata la crema dell'imprenditoria locale, che al tempo non alzava un sopracciglio mentre la città veniva derubata, violentata, ridicolizzata, ed oggi grida al declino.
E c'era anche buona parte dell'attuale giunta, non si capisce se per crisi d'identità, sindrome di Stoccolma, o banale ricerca di consenso per le prossime elezioni.

Uno spettacolo pazzesco, incredibile. La razza padrona che senza vergogna sfida la storia e il buon senso, confidando -a ragione- nella tragica mancanza di memoria e consapevolezza della comunità che giace ai suoi piedi. Mancava solo un'insegna luminosa con scritto "io so' io, e voi nun siete un cazzo!"
Erano tutti, ognuno per la propria parte, nella stanza dei bottoni ai tempi del Grande Saccheggio, ed oggi starnazzano scandalizzati per la situazione che hanno contribuito a creare, proponendosi come soluzione. Invece a me pare che questi siano il problema.

giovedì 22 settembre 2016

Olimpiadi, perchè NO?


Come molti, tento di tenermi in forma andando a correre con una certa regolarità. Capita a volte di essere un po’ raffreddati, il naso chiuso, un po’ di mal di gola, e di pensare “vado lo stesso, una bella sudata e passa tutto”. A volte funziona, a volte no,  ma di certo, se uno va a farsi una bella corsetta con la polmonite, bene che gli vada finisce in ospedale.  

Ecco, Roma oggi è questo: un corpo esausto, fiaccato da anni di assalto di parassiti insaziabili, attuamente in cura presso medici di dubbio talento e nessuna esperienza, a cui si vorrebbe chiedere uno sforzo paragonabile ad una maratona. Ammesso e non concesso che sia in grado di portare a termine la prova, c’è il rischio che la fatica lo riduca in un stato dal quale potrebbe non riprendersi.


Fuor di metafora, credo molto semplicemente che oggi  Roma e l’Italia non siano in grado di accollarsi l’onere di organizzare un’Olimpiade.  Credo che manchino gli anticorpi per arginare il prevedibile assalto di tangentari, mafiosi e palazzinari, meno che mai li può fornire la balbettante amministrazione che ha preso in mano Roma. Sarei felicissimo di vedere un grande evento come le olimpiadi in Italia, ma credo che rimandarlo a momenti più adatti sia un gesto di realismo e responsabilità. Il modello Expo, con il buco miliardario, la BreBeMi, le mazzette, ha un saldo costi-benefici che non possiamo permetterci. 

lunedì 19 settembre 2016

degrado, sicurezza, e afrore di manganello



Dall'immortale "Bar Sport" di Stefano Benni: “democristiano, con paurosi sbandamenti fascisti quando le cose vanno male”.
Non trovo frase migliore per descrivere la deriva della comunicazione politica, in questa interminabile, estenuante campagna elettorale: un profluvio di “degrado” e “sicurezza”, parole e concetti tagliati con l’accetta, usati ad arte per titillare la pancia, offuscare la memoria, far pregustare il sempre inebriante “afrore di manganello” (altra citazione, stavolta Montanelli), e coprire un siderale vuoto di cultura, idee e progetti. A Parma si vota per il Sindaco tra pochi mesi, e il degrado e la sicurezza sono le parole d’ordine più in voga. Quale degrado? Quello delle panchine occupate da facce che non ci piacciono? Quello dei sacchi di spazzatura lasciati in giro da cittadini incivili più che da inefficienze del servizio di raccolta? Quello del verde pubblico non proprio tirato a lucido? Sono certamente problemi concreti, che le istituzioni sono tenute ad affrontare e risolvere. Così come non si possono sottovalutare le preoccupazioni suscitate dai troppi episodi di spaccio, furti, e microcriminalità varia.
Ma davvero è tutto qui? Solo questo è degrado? Solo questa è sicurezza?



Personalmente, vedo il degrado nel continuo sorgere di strade, condomini e centri commerciali, gusci vuoti senza senso e senza futuro, orchi di cemento e asfalto, che si mangiano pezzi dell’ormai ex food valley per soddisfare una bulimia palazzinara che non concede requie.

Mi fanno sentire insicuro i complici di quindici anni di saccheggio economico, urbanistico, morale e sociale della città, che si riciclano senza pudore in cerca di nuove poltrone.

Vedo il degrado nell’ecatombe delle storiche società sportive di vertice, per decenni gloria, orgoglio e motore di Parma, abbandonate al loro destino da una classe imprenditoriale avida, pavida e parolaia.

Mi fa sentire insicuro il continuo stillicidio di bancarotte da prima pagina, scorribande di colletti bianchi che minano i conti pubblici, distruggono posti di lavoro, rubano il futuro ai nostri figli.
Nei prossimi mesi riusciremo a sentire qualche risposta anche a queste domande, possibilmente non a base di frasi fatte da quattro soldi?

sabato 17 settembre 2016

uniamo i puntini




In pochi giorni:

Una ragazzina struprata per anni, ma dicono in paese che se l’è cercata, ‘sta zoccoletta (di 13 anni, tredici anni!) che non sapeva stare al suo posto.

Una donna suicida per la vergogna, ma dicono i social che se l’è cercata, ‘sta troia che aveva accettato di girare dei video per compiacere il partner. (Nel frattempo i suoi assassini, i baldi maschioni che hanno diffuso i video, rimangono ancora anonimi e impuniti LEGGI )

L’ennesima donna ammazzata a coltellate dall’ex, pur di non restituirle la sua vita, della quale si riteneva proprietario.

Tutto nell'Italia dei fertility day, dei family day, delle sentinelle in piedi, delle scuole con l’ora di religione ma senza un minuto di educazione sessuale. Lo stesso paese che svetta nel mondo per consumo di pornografia.

Credo che, provando a unire i puntini, non sia difficile capire che siamo di fronte ad un unico, grande problema, vecchio di secoli, che forse è venuto il momento di affrontare.

Oppure continuiamo pure a far finta di niente, e ad indignarci per niqab e burkini.

giovedì 25 agosto 2016

Non facciamoci accecare dalla retorica delle lacrime, del cuore, della macchina dei soccorsi

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La frase "questo è il momento del dolore e delle lacrime, non delle polemiche" è una solenne idiozia, la grande arma di distrazione di massa di questi giorni. Un altro pezzetto d'Italia, lasciato in balìa di eventi naturali  prevedibili e previsti, si è sbriciolato in un minuto, portandosi via vite, famiglie, comunità.


Stavolta è stato un terremoto, in una zona che tutti sapevano ad alto rischio sismico. La prossima volta sarà un'inondazione, in una zona ufficialmente dichiarata ad alto rischio alluvionale. Ogni volta scatta la retorica stucchevole della natura crudele, della fatalità, del grande cuore degli italiani, della macchina dei soccorsi.


Invece dovrebbe scattare una gran rabbia. Una rabbia lucida, che ci porti a prendere idealmente per le orecchie e mettere di fronte alle proprie responsabilità la nostra classe dirigente (non solo politica), ma anche noi stessi, membri di una collettività distratta, miope e immemore. Tutti sappiamo, ma facciamo finta di non sapere. Tutti vediamo, ma scuotiamo le spalle e andiamo oltre. Così qualunque politicante da quattro soldi ci può raccontare che la grande abbuffata di Expo ha fatto bene al Paese. Che bisogna fare il Ponte sullo Stretto per risolvere la questione meridionale. Che opere demenziali e delinquenziali come la BreBeMi o la TiBre ci porteranno fuori dalla crisi. Che Roma ha bisogno delle Olimpiadi per rilanciarsi.


Al contrario, sono proprio questi progetti novecenteschi, tagliati su misura per ingrassare la cricca palazzinaro/finanziaria che si sta mangiando l'Italia, che ci impediscono di mettere piede nel XXI secolo. Sta a noi fare in modo che questo secolo sia quello del prevenire per non dover ricostruire, dell'aggiustare invece di inaugurare, della tutela del futuro di tanti anzichè del conto corrente di pochi.

lunedì 4 luglio 2016

Parma è cotta?




Undici milioni di euro sotto sequestro, sospetto di bilanci taroccati e di truffe con soldi pubblici. Mica robetta, anche in una città che da una quindicina d’anni esporta nel mondo fallimenti e bancarotte da prima pagina, la vera eccellenza parmigiana del XXI secolo, ètor che fudvallei. 

Eppure, da tante bacheche solitamente fumanti di indignazione e di idee per un futuro migliore, non una parola. Dalla Parma che ci sta a quella che non ha paura, nulla da dire, non un fiato, non una riga. In effetti, va riconosciuta una certa linearità: non avevano fatto una piega in occasione dei tanti crack parmigiani degli ultimi anni, è coerente che anche stavolta voltino la testa dall’altra parte. 

E che dire dei tanti pramzanètt da tastiera, sempre prodighi di invettive e indignazione per un autobus in ritardo o un sacco del rudo incustodito, pronti a firmare petizioni e a scendere in piazza contro un campetto sportivo o per riavere i cari vecchi cassonetti? Anche qui, silenzio di tomba.

Eppure a me sembra evidente che il vero pericolo per la sicurezza e per il futuro, di cui tanti si riempiono la bocca, viene soprattutto da queste continue scorribande di colletti bianchi, che in pochi anni hanno depredato i conti pubblici e il tessuto produttivo, minato la tenuta delle Istituzioni, allentato i legami di comunità. Nessuno vuole sminuire il peso dei fenomeni di microcriminalità diffusa, né l’importanza di dare risposte a noi cittadini quando ne siamo colpiti. Non possiamo però fingere di non vedere che, se il corpo della città è continuamente spolpato da attacchi di parassiti in camicia e cravatta, farà più fatica a curare i sintomi del disagio, della disuguaglianza, dell’emarginazione.


Oppure sì, possiamo continuare a fingere di non vedere, e credere a chi ci racconta che a minacciare il futuro dei nostri figli sono la raccolta differenziata e i pallet in Piazzale della Pace.

lunedì 6 giugno 2016

Femminicidio, le parole sono importanti: non è mai un “raptus”, non è mai un “bravo ragazzo”




Avevo scritto questo post qualche mese fa, ma mi rendo conto che si potrebbe ripubblicare pari pari in ogni occasione, tanto il copione è al 90% identico. Come nel caso di Elisa, ammazzata a Parma il 10 settembre.
È difficile descrivere l’orrore di fronte all’episodio di Sara, bruciata sul ciglio di una strada, per la sola colpa di volere disporre della propria vita. Non posso fare a meno di pensare, più che all’epilogo tragico, alla discesa sempre più ripida che, da una relazione inizialmente normale, porta queste donne nell’inferno che le inghiotte. La gelosia ossessiva, le violenze verbali e fisiche, la persecuzione delle telefonate e dei pedinamenti. Mi fa impressione leggere che solo il 12% di queste situazioni viene denunciato. Una su otto. Per un caso che viene alla luce, ci sono altre sette donne che combattono tra le macerie della propria vita senza nessun aiuto. Se non si arriva alle conseguenze estreme, di questi casi, che spesso durano anni, nessuno verrà mai a sapere nulla.

Eppure, in quasi tutte le storie, compresa quella di Sara, la violenza estrema dello stalking, dello sfregio con l’acido o dell’omicidio non è un fulmine a ciel sereno. Andando a ritroso, si scopre con sconcertante regolarità che c’erano stati episodi allarmanti, magari dopo alcune settimane o mesi di relazione “normale”. La frase maschilista, la gelosia che impedisce anche di frequentare le amiche, il telefonino spiato, il primo insulto, il primo schiaffo, gli sms persecutori, le minacce. Se è ovvio pensare che nessuno dovrebbe nemmeno immaginare di potersi permettere comportamenti del genere, mi stupisce molto che queste violenze vengano spesso sottovalutate dalle stesse vittime e dal loro contesto famigliare e sociale. Perché molte famiglie scatenano una guerra se la figlia frequenta un ragazzo tatuato, o di origini ritenute inadeguate, ma spesso non ci si preoccupa se il fidanzato telefona a tarda notte per controllare se è in casa? E anche dopo, perchè non manca mai chi ci informa che “era un così bravo ragazzo”? 

Perché tante ragazze, ma anche donne ormai adulte, sono spesso lusingate dalla gelosia del partner, scambiando un sentimento sterile e violento per un segno di attenzione e desiderio? Perché certe frasi e immagini, postate sui social o spedite in una chat, non vengono considerate da istituzioni e famiglie per quello che sono, cioè dei veri e propri atti di violenza, equivalenti se non peggiori di un pugno?


Veniamo da secoli in cui la sopraffazione del maschio sulla femmina veniva data per scontata. Fino a pochi decenni fa, barbarie come il delitto d’onore, il matrimonio riparatore, il marito “capo” della famiglia, erano perfino scritte nella legge, oltre a far parte di tradizioni e consuetudini tramandate attraverso le generazioni. Cambiare le leggi è relativamente facile, cambiare una cultura così radicata richiederà decenni. Da dove cominciare?